• Il lupo in pianura, uno scenario possibile?

Il lupo in pianura, uno scenario possibile?

Il lupo in pianura, uno scenario possibile?

Il ritorno del lupo in Italia è davvero la storia del più grande successo di conservazione del nostro Paese? Interessante interrogativo, al quale si è cercato di dare una risposta nel webinar 'Il lupo in pianura, buone pratiche di convivenza', organizzato da WWF Italia e Comune di Reggio Emilia.

Capita sempre più spesso, viaggiando nella zona Appenninica della nostra Penisola, sulla via Emilia o in autostrada, di notare tra i campi della Bassa o vicino al casello autostradale una presenza curiosa. Qualcuno l'ha visto perfino sulle sponde del Po: il lupo è tornato da tempo in Appennino e sta scendendo verso la Pianura Padana. Non sono poche le segnalazioni che, riportate sulla mappa del territorio emiliano, ne evidenziano la presenza sempre più vicina alle periferie delle città. Nella situazione di lockdown, poi, la fauna selvatica si è sentita meno minacciata dalla presenza dell'uomo e così gli avvistamenti del lupo in pianura e i segni delle sue predazioni sono aumentati, rendendo ancora più attuale la necessità di una riflessione sul tema della convivenza.

Per queste ragioni è stato organizzato, lo scorso 9 maggio, il webinar intitolato 'Il lupo in pianura: buone pratiche di convivenza', promosso dal Comune di Reggio Emilia e dal WWF Italia.

Al dibattito ha partecipato anche Willy Reggioni, responsabile del servizio conservazione della natura del Parco Nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano e coordinatore del Wolf Apennine Center.

Nel presentare parte dei risultati maturati nell'ambito del progetto LIFE M.I.R.CO-Lupo, co-finanziato dalla Comunità Europea, il ricercatore ha proposto una riflessione ragionata sulla presenza del lupo in Pianura Padana.

Il lupo conquista nuovi territori

«Per ragioni strettamente legate alla loro organizzazione sociale – ha spiegato Reggioni - i lupi si disperdono verso nuovi territori. Questi loro spostamenti possono essere anche di molti chilometri e hanno nel tempo interessato aree di collina e, oggi, di pianura. Nel corso del progetto abbiamo radio-marcato diversi esemplari, il che ci ha permesso di rappresentare fenomeni e comportamenti di grande interesse, tanto che possiamo domandarci se - effettivamente - il ritorno del lupo in Italia sia davvero la storia del più grande successo di conservazione del nostro Paese».

Tutti sappiamo che la ricomparsa del predatore ha generato conflitti nell'ambito zootecnico: quando è tornato, infatti, il lupo ha trovato pastori impreparati a difendersi. Abituati a considerarlo estinto dagli Anni '50, le greggi venivano lasciate libere di pascolare, senza recinzioni, senza cani da guardiana e senza ricovero obbligato serale nelle stalle.

Dagli Anni '90 il ritorno del lupo è diventato per gli allevatori un serio problema economico, con un'opinione pubblica che si divideva in due fazioni: chi a favore del lupo, e chi decisamente contrario. Tra questi ultimi, tutto il mondo venatorio che accusava l'animale di sottrarre prede all'attività di caccia programmata.

Nonostante la natura di questo conflitto, è possibile definire il ritorno del lupo come un successo perché - secondo Willy Reggioni - siamo stati comunque preparati ad affrontare la situazione. Recinzioni elettrificate, cani da guardiania addestrati, una nuova pastorizia e una nuova sensibilizzazione rivolta al mondo venatorio hanno incrementato la conoscenza del lupo e delle sue abitudini, anche predatorie.

Il consenso attorno a un ritorno

Il lupo è tornato sulle nostre Alpi e in Appennino in modo naturale. Una modalità che ha aiutato a creare un clima di maggiore consenso attorno al predatore, sebbene abbia continuato a occupare nuovi spazi. Negli Anni '90 ha colonizzato le montagne, negli anni 2000 la media montagna, e oggi si spinge verso la Pianura Padana. Un dato incontrovertibile basato sui numerosi avvistamenti, sulle predazioni dei cani domestici e su un nuovo tipo di conflitto con l'uomo. Non sono più le solite 'categorie' - allevatori e cacciatori - ad avercela con lui, ma più in generale, una popolazione spaventata. L'opinione pubblica si divide, ancora e di nuovo, tra chi ama il lupo e chi lo detesta, ma aumenta la paura nei confronti del predatore. Il conflitto sociale arriva a coinvolgere i cittadini perché il lupo, in Appennino, è sceso verso valle.

Il fattore 'paura'

Perché si ha paura del lupo? Se abbandoniamo ancestrali ragioni, radicate nella nostra storia da tempi millenari, essenzialmente le motivazioni di oggi sono due: la percezione che il lupo stia 'invadendo' sempre di più nuovi spazi e la nota pericolosità della specie.

Oggi è sempre più facile vedere un lupo in natura, e ogni avvistamento subisce un'amplificazione senza precedenti, basta seguire le condivisioni di una foto di avvistamento sui social media. Se ne parla anche di più, perché si recupera un maggior numero di carcasse di lupi, investiti da treni o autovetture. E ci sono più predazioni.

Nel progetto M.I.R.CO-Lupo è stato osservato come il lupo sia diventato un frequentatore 'abituale' delle stalle, soprattutto quelle con le concimaie che caratterizzano la Pianura Padana. È proprio qui, infatti, che il predatore trova cibo in modo semplice e abbondante: placente abbandonate, vitelli morti, carcasse che attendono lo smaltimento.

Questa aumentata frequentazione delle stalle avvicina di più il lupo ai cani - ed essendo opportunista, ma non stupido - ha capito che anche il migliore amico dell'uomo può diventare una (facile) preda.

La complicità dell'uomo

In Appennino è presente la percezione che il fenomeno dell'ibridazione sia piuttosto diffuso. Quindi, spesso, l'uomo ha la convinzione che ci si trovi di fronte a un 'mezzo cane e un mezzo lupo', quindi un animale più confidente. Percezione che si forma in un contesto in cui i media amplificano spesso le occasioni di conflitto e i casi di predazione, generando atti di bracconaggio decisamente aumentati negli ultimi anni, a fronte di un sostanziale silenzio da parte delle Istituzioni.

Di fronte a un tale quadro, non è difficile ammettere che il lupo è sempre un passo avanti all'uomo, ma oggi l'uomo non può più permettersi di aspettare. È il caso di intervenire con strategie gestionali, monitoraggi della presenza della specie in pianura, con interventi che scoraggino quelle cause antropiche che favoriscono comportamenti audaci del lupo (come l'avvicinamento alle case) e di sensibilizzare tutta la società su questo ritorno.

Siamo abituati a inseguire il predatore, nei suoi spostamenti, nelle sue nuove colonizzazioni ma, oggi, con la sua discesa verso la Pianura Padana, occorre invece raggiungerlo, e andare di pari passo.

Attenzione ad alzare l'asticella del rischio

Quando il conflitto tra uomo e lupo ha coinvolto la zootecnica è stato possibile - anche se non risolutivo in tutti i casi - proporre delle soluzioni operative per tutelare le attività economiche che ne avevano risentito.

In Pianura Padana, il nuovo conflitto potrebbe coglierci più impreparati. Perché non basteranno reti o cani da guardiania: serviranno sociologi, psicologi, antropologi.

Negli ultimi 150 anni in Italia, non sono stati registrati attacchi del lupo all'uomo ma l'abituazione - e cioè la familiarità tra uomo e predatore che potrebbe derivare da questa discesa del lupo in pianura - potrebbe comportare un livello più alto dell'asticella di rischio.

Non dimentichiamolo: il lupo, nel nostro Paese, è come il leone in Africa, oppure la tigre in Asia: cioè un predatore selvatico. L'uomo non è una sua preda, ma se creiamo abitudine e familiarità con la specie dobbiamo anche essere consapevoli che il lupo è opportunista e va dove il cibo è sicuro e garantito.

E nel caso di un malaugurato incidente... la colpa sarà quasi certamente e ingiustamente addebitata al lupo ma - almeno noi - ricordiamocelo: sarà solo colpa dell'uomo e di quella confidenza che abbiamo favorito tra uomo e animale selvatico.

 

Emanuela Celona

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